UN RACCONTO PER LUPETTI
L'AQUILONE DI ENRICO
Un urlo di gioia proruppe dal petto dei Fulvi, trasformandosi subito, sotto la guida di Enrico, il Caposestiglia, in un sonoro « tralalla » in onore di Alberto. Ma questo non bastò a dar sfogo alla felicità dei Fulvi, essi gridarono ancora, chiamarono Akela, portarono Alberto in trionfo!
Le altre sestiglie si affacciarono dai loro angoli, sparsi nel boschetto e, visto il corteo dei Fulvi, si precipitarono anch’esse. In un attimo tutto il Branco fu radunato sul prato, attorno ad Akela ed ai Vecchi Lupi accorsi.
Le voci dei Fulvi si elevavano altissime, tanto che Akela stentava ancora a rendersi conto di quale fosse stato il grande avvenimento che aveva suscitato I loro entusiasmo.
« Alberto! » « Ha fatto il cappio bombardiere! » « Il Totem, il Totem! » « Alla prossima Caccia potremo portare con noi il Totem! » « Ormai ha meritato la Prima Stella! » « Sì, Akela, devi dargliela, adesso.
Finalmente i Lupetti avevano capito e la gioia dei Fulvi divenne veramente la gioia di tutti: il Branco aveva ormai il diritto di portare fuori il suo Totem, da tempo relegato nella Tana.
Alberto, infatti, unico tra tutte le Zampe Tenere dell’anno precedente, non era ancora riuscito a guadagnare la Prima Stella ed il Totem, compiuti i dieci mesi dalla Promessa di Alberto, era stato rinchiuso in Tana, come vuole la Legge.
Tutti i Fratellini del Branco ne avevano provato enorme dispiacere, come è logico. Da principio quasi c’era stato come un risentimento contro Alberto, che per parte sua, del resto, sembrava un cane bastonato; ma subito il Branco aveva scacciato questo sentimento indegno di Lupetti e tutti, ma specialmente i Fulvi, si erano messi a fare del loro meglio per insegnare ad Alberto i nodi che gli mancavano. Per mesi si tentò; ma, ahimè, senza nessun risultato. Alberto, dopo i primi tentativi falliti, si era fitto in testa che non sarebbe mai riuscito ad imparare i nodi e nemmeno tutta la pazienza di Akela e l’incitamento dei Fulvi erano riusciti ad ottenere qualche cosa da lui.
Improvvisamente, quella domenica, finita la siesta — così Enrico riferì ad Akela — mentre egli stava per iniziare il giuoco « Akela ha perso il suo cappello » (prima di riprendere l’attività di Branco, Akela lasciava sempre del tempo a disposizione delle Sestiglie, perché facessero ciò che volevano), Alberto aveva pregato gentilmente lui, Enrico, ed il Vicecaposestiglia di volergli tenere la corda e si era prodotto in un perfetto cappio bombardiere! Tutti i Fulvi sapevano che quello era l’unico ostacolo che impediva ad Akela di consegnare ad Alberto la Prima Stella e si comprende perciò la gioia che ne era nata.
Akela, felice anch’egli per la gioia del Branco e quella di Alberto, chiamò subito subito per una staffetta di nodi, nella quale risultarono vincitori proprio i Fulvi, avendo Alberto egregiamente dimostrato all’intero Branco la sua nuova abilità.
Ma rimaneva un mistero da chiarire: come mai Alberto era riuscito da solo, dopo tanto tempo e senza che il Branco ne sapesse nulla?
Akela, ben deciso a venirne a capo, rientrato il Branco dalla Caccia, quella sera accompagnò Alberto a casa, e dopo averlo giustamente lodato assai per essere riuscito a vincere sé stesso, gli chiese apertamente di raccontargli come erano andate le cose.
« Ti ricordi — spiegò Alberto — che tre mesi fa Enrico si è rotta una gamba. Sai come successe? ». « Certamente! — disse Akela — Perché voleva salire su un albero del suo giardino, per riprendere l’aquilone che vi era rimasto in cima!
« Già, proprio così — riprese Alberto — Ma forse non conosci tutta la storia fino alla fine, voglio dire fino a me .
« Racconta ».
« L’aquilone era andato a impigliarsi in cima al grosso larice che è nel giardino di Enrico. Dapprima lui tentò di farlo venir giù tirando la cordicella, che invece si ruppe; allora, si decise a scalare l’albero. Enrico è molto bravo ad arrampicarsi, ma il larice, te lo ricordi, è assai grosso e difficile. Al primo tentativo scivolò e cadde a terra; provò la seconda volta e cadde ancora; alla terza caduta si ruppe la gamba. Lo andammo a trovare tutti, ma noi Fulvi andammo per settimane, ed io quasi tutti i giorni:
abito vicino a lui e ... siamo molto amici ».
Akela assentì con la testa, senza interromperlo. « Era quasi guarito, ma aveva ancora la gamba fasciata, quando un giorno, andando da lui come sempre, lo trovai solo a casa. Era seduto sulla solita poltrona a sdraio; ma sulle sue ginocchia aveva l’aquilone, ormai ridotto, dopo tanto tempo, alla sola armatura ed a pochi brandelli di carta scolorita. Però Enrico era tutto contento e felice lo stesso. « Vedi, mi disse, ecco il famoso aquilone! » « L’aquilone?, risposi. Che l’ha buttato giù il vento? »« No, sono andato io a prenderlo ». Io stavo a bocca aperta e lui allora continuò: « Sì la mamma è uscita per tutto il pomeriggio e tornerà tardi. Appena sono rimasto solo, mi è venuto subito in mente l’aquilone. Non ho potuto farne a meno, credi Alberto, proprio non ho potuto. Quando comincio una cosa, debbo portarla in fondo. E questa volta ci sono riuscito. Ma ora, Alberto, mi viene un dubbio: credi che abbia mancato alla Legge?
Sai il Lupetto non ascolta sè stesso ... Quando tornerà la mamma le chiederò perdono ... Ma proprio non ho potuto farne a meno ». Non sapevo cosa rispondergli, allora, e dissi soltanto: « No, non credo. Tu sei un bravo Lupetto ..
Ma quella sera non riuscivo a prendere sonno; mi tornava alla mente la frase di Enrico:
« quando comincio una cosa, debbo portarla in fondo! » e pensavo alla mia Prima Stella, al Totem del Branco, a quella corda che mi era diventata odiosa ... Il giorno dopo con l’aiuto del mio fratellino mi sono messo all’opera con l’aiuto dei disegni che tu ci avevi dato ... Te l’avrei voluto dire, ma poi pensai che sareste stati più contenti di una sorpresa ...
E qui Alberto tacque.
Akela, sottovoce, disse:
« Bravo ... », ma Alberto non lo lasciò finire e continuò lui: « ... Enrico! ».
adattato da un testo di Fausto Catani


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