Uomini signicativi

Salvatore Salvatori
V° Capo Scout dell’ASCI

 

Non lo storico ma il poeta
dovrebbe presentare la vita del Capo scout Salvatore Salvatori
perché è una vita scritta col cuore,
una vita di Cavaliere dell’ideale.
La storia si sbiadisce col tempo, la leggenda ingrandisce.

 


Salvatore Salvatori era nato a Casalbuttano (Cremona) il 14 luglio del 1899, ma venne presto a Roma. Alla fine del 1917 entrò nell’ASCI e nel 1918 pronunciò la sua Promessa scout e divenne capo del “Riparto Roma 10°” (a quel tempo il “Riparto” comprendeva anche quelli che nell’evoluzione del metodo sarebbero stati i Lupetti e i Rover).
Il Roma 10° era stato appena fondato da don Vanella, salesiano, nell’oratorio di S.Maria Liberatrice al Testaccio, uno dei quartieri più tipicamente popolari della città.
Al primo campo nazionale dell’ASCI, svoltosi in VaI Fondillo nel 1921, Salvatori -mi raccontava - si era guadagnato una medaglia al merito per aver salvato una squadriglia incrodatasi sul Monte Dubbio.
Lasciò il riparto, chiamato ad assumere la responsabilità di “Commissario Locale” di Roma e nel 1924 fu tra i capi del contingente italiano al Jamboree di Copenaghen. Quale responsabile di Roma fu uno dei tre capi che ammainarono la bandiera dell’associazione, dopo tre giorni di campo alle tre Fontane, quando, nel 1928, i decreti soppressivi di Mussolini troncarono le attività “ufficiali” dell’ASCI.
Gli Scouts che avevano campeggiato con loro erano stati fatti partire per non assistere alla triste cerimonia dell’ammaina bandiera.

Fu lui ad istituire la consuetudine del rinnovo della Promessa nel giorno di San Giorgio, nella chiesa del Velabro, che tenne uniti nel periodo clandestino gli scouts romani e, come tanti altri, continuò a fare attività scout sotto mentite spoglie.

Sennonché, a marzo del 1931, qualcuno bene informato si preoccupò di far sapere a sua “Eccellenza” il ministro dell’interno di avere incontrato per la via Prenestina “un gruppo di una quarantina di giovani dai 10 ai 17 anni, già gruppo di esploratori, che dovrebbe risiedere a S.Lorenzo e che a malincuore ha deposto la divisa di esploratori pur mantenendo le idee antifasciste, mentre marciava a passo, capitanato da un uomo sulla trentina, biondiccio e già capo da tempo di essi” auspicando che a questo “biondiccio” non romano e forse nemmeno italiano fossero tirate le orecchie, ecc, ecc.
La pronta indagine della polizia accertò che il professor Salvatore Salvatori, fu Settimio e di Giuseppina Bettoni era ben conosciuto nel distretto di S. Lorenzo perché “da molti anni spiega la sua attività di carattere religioso tra i giovani che frequentano le Opere e le Associazioni della Parrocchia della Immacolata ed Istituto Pio X, dei Pari Giuseppini”. E il Questore, dopo avere spiegato vita, morte e miracoli del professore Salvatori ed avere attestato la sua fede fascista,ma anche di averlo debitamente diffidato, chiuse la partita con un nulla di fatto.

Il questore non aveva detto che il “Professore” era andato ad insegnare matematica nella scuola Angelo Mai e al Seminario romano, per non prestare il giuramento a Mussolini richiesto per gli incarichi statali.
Nel marzo del ‘44, ancor prima della liberazione di Roma, Salvatori è chiamato a far parte del nucleo di ex Commissari Centrali che stanno progettando la rinascita dell’ASCI.
Nel luglio lascia il centrale per assumersi la responsabilità della regione Lazio ma, nel settembre deI 1946, il primo Consiglio generale lo elegge Commissario Centrale.
Dal 1947 al 1957 è commissario alla Branca Esploratori e durante questo periodo dirige i campi nazionali E del 1951 (Vallonina), 1954 (VaI Fondillo). Porta il contingente italiano ai Jamboree di Bad-lschl (1951) e di Niagara-on-the-Lake (1955). Dal 1957 al 1964 è presidente del Commissariato Centrale ed ha anche la responsabilità della Formazione Capi tra il 1956 ed il 1963.
Poi, nel 1964 viene eletto Capo Scout e, alla fine del triennio, viene nominato, con un plebiscito del Consiglio Generale, Capo Scout Emerito a vita, onore che gli verrà confermato dall’Agesci.
Questa è l’elencazione, certamente incompleta, dell’eccezionale percorso nello Scautismo di Salvatori, tornato alla Casa del Padre il 6 maggio del 1983.


Un suo ricordo più vivo lo ha scritto su Esperienze e Progetti Guido Palombi, che lo conobbe nel 1946:

 

 

Ho conosciuto il prof. Salvatori nel 1946. Era il periodo eroico del subito dopo guerra e mi trovavo impegnato allo spasimo con l’Azione cattolica di Cristo Re in quello che giudicavamo essere la grande lotta per la difesa della civiltà cristiana.


Era il periodo dello scambio delle pennellate di colla in faccia con gli amici tranvieri comunisti, quando ci contendevamo gli spazi di muro per attaccare i manifesti. Oppure quello dei comizi con i dibattiti all’ultimo sangue, in tutte le zone di Roma e dintorni.
Alla fine del ‘47 il buon padre Bosio, Parroco di Cristo Re, mi propose di dirigere lo sparuto gruppetto di ragazzini che residuava dal Riparto Scout. Io accettai con la mia solita incoscienza, ma in realtà cambiai ben poco delle mie attività: sinceramente non sapevo che far fare a quei ragazzi.


Un giorno, mentre giocavo una partita di calcio nel cortile della parrocchia, mi vengono a chiamare perché “un signore”desiderava incontrare capo e scouts del Riparto. Era il prof Salvatori che ci radunò in cerchio, sparse per terra davanti ai nostri occhi una trentina di oggetti disparati, ci diede un minuto di tempo per osservare, coprì gli oggetti e ci chiese di elencarli a memoria. Il famoso gioco di Kim.
Passammo un’oretta insieme con l’entusiasmo che cresceva sempre più, finché alla sua proposta di frequentare un suo prossimo campo scuola sul lago di Vico, accettai con gioia.
Mi aveva inoculato il bacillo del Grande Gioco.


Cominciai a frequentarlo come mio capo a Via della Pigna 13/A: avevo sempre mille domande da porgli. Il suo ufficio al pianterreno aveva per me una grande suggestione. Lì il Professore esercitava un’attività caotica: era contemporaneamente Presidente Diocesano di A.C. e Commissario di Branca Esploratori nell’ASCI.
Più di una volta assistetti alle sue trasformazioni di immagine. In « tight « dopo una riunione con alti prelati, si toglieva velocemente l’abito restando in perfetta uniforme scout pronto a salire in macchina, con la quale il buon Fiorino lo portava velocemente ad un raduno scout.
Ma in quell’ufficio lo imparai a conoscere anche per altre sue ben più importanti prerogative. Capii della fiducia che godeva, avendo le chiavi della cassaforte del Vicariato e partecipando vivamente alla formulazione delle liste politiche della Democrazia Cristiana locale, ne cominciai ad inquadrare le qualità umane, alcune delle quali spiccatamente scout: entusiasmo, affidabilità, generosità, cordialità, amore per la natura, forza d’animo, fedele alla Gerarchia, attivo e realizzatore, cristallino di fronte al denaro, limpido nei contatti con tutti. Ma anche confusionario, approssimativo nei particolari dell’azione, ottimista al di là del realismo, e ingenuo. In aggiunta, Padre Agostino Ruggi d’Aragona, con quel suo accento francesizzante, ma con tanto garbo, lo definiva il più grande gaffeur del mondo scout »!

Fondamentalmente Salvatori era un innamorato di Dio. Aveva uno zelo che gli faceva superare ogni difficoltà ed ogni sua limitazione. Viveva e si muoveva per realizzare i piani di Dio, con semplicità.
Quando assunsi responsabilità in seno al Commissariato Centrale dell’ASCI, lo conobbi meglio come dirigente nazionale e lavorammo parecchio insieme. Era certamente un leader di valore, tipicizzato nelle sue condizioni: azione, zelo, limpidezza, ingenuità. Un episodio lo illustra. Quanto ritornò dal Jamboree in Canadà alla guida del folto contingente di Scouts italiani, fece in Centrale una relazione molto lusinghiera dell’impresa portata a termine. Alla fine accentuò molto la differenza di stile morale che aveva dimostrato il contingente italiano nei confronti di quelli di altre nazioni.

Feci poi nel 1960 la mia esperienza inglese di scautismo frequentando il Camposcuola di Gilwell Park, la Mecca dello scautismo. Quella occasione mi fece capire come Salvatori avesse assimilato più facilmente di altri (che passavano per la maggiore) la sostanza del movimento di Baden Powell: pragmatico, spirituale ma laico, lo stile, l’orgoglio di club, il grande gioco, la sintonia con i ragazzi, la spontaneità, i fini ultimi del processo educativo. Anche se la sua personalità e la sua formazione erano per molti versi lontanissime dagli atteggiamenti inglesi, non fosse altro che per la pignoleria delle preparazioni e per il sottile e distaccato humor di cui è saturo anche.il Fondatore. Humor che, mi ricordo, faceva dire al Capocampo di Gilwell, con la pipa in bocca ed all’inizio della sua sessione sulle Cacce (uscite) dei Lupetti: Per un Capobranco la cosa più importante in una Caccia è contare i bambini alla partenza per poi ricontarli al ritorno in Sede ».

Nella sua azione apostolica ritrovo qualche atteggiamento che è ad esempio in Madre Teresa di Calcutta. Quando alla Suora santa si domandavano notizie sulla sua organizzazione (3 milioni di persone in 70 Paesi del mondo) risponde: « La mia è l’organizzazione più disorganizzata del mondo ». « Quando e perché decide di creare un nuovo lebbrosario? » « A seconda dei bisogni ». « Lei programma i suoi viaggi, Madre, o le sue giornate? » « No. A seconda dei bisogni. Faccio quanti viaggi occorrono. Dovunque Gesù vuole che vada.

L’ho rivisto qualche giorno prima che morisse. Aveva già una gamba con ferite in gangrena e certamente soffriva molto. Al mio invito di farsi ricoverare in ospedale (era completamente solo in casa) mi disse che voleva aspettare a casa.

Aspettare...

Il ricordo chiaro che ne ho, e che conservo come il suo ultimo dono, è quello di un uomo che della vita aveva saputo scegliere « la parte migliore, che non gli sarà tolta ».

 

Guido Palombi