Nel
lager “Rottwall” A/N tutto sembrava procedere nella normalità;
dalle baracche uscivano ovattati melanconici canti e brusii di voci.
Erano i deportati di tutti i paesi europei che alla sera appollaiati
su rudimentali panche rivolgevano il pensiero alle loro case: erano
italiani, francesi, olandesi, russi, polacchi ed armeni.
Fuori la neve cadeva lentamente. Ad un tratto un portone si aprì
ed uscirono armati di tutto punto i nostri carcerieri: le tristemente
famose “SS". Erano tanti i soldati che in brevissimo tempo
accerchiarono alcune baracche abitate dai polacchi. Fecero uscire tutti
come si trovavano e con le mani dietro la schiena. Schierarono sul piazzale
45 giovani. Dalla torretta centrale un faro illuminò la scena
a giorno.
Che cosa stava succedendo? Perché tutta quella messa in scena?
Tutti noi ci chiedevamo cosa significasse quella parata.
Era stato compiuto un sabotaggio ed una SS aveva creduto di individuare
l’autore in un polacco; ma poiché non era possibile ricercare
il vero colpevole procedettero alla decimazione come loro consuetudine.
Furono scelti, con la funebre conta, dodici giovani. Era freddo e non
ci fu pietà per nessuno di loro: con i mitra spianati imposero
a questi martiri di consegnare loro tutto quanto avessero: vestiti,
documenti, orologi ecc. e ad uno ad uno furono spogliati di tutto.
A un certo punto però, mentre un sottufficiale perquisiva il
portacarte di un giovane polacco avvenne qualcosa di strano: il tedesco
cominciò ad inveire verso il deportato e, accompagnandolo con
calci e schiaffi, lo allontanò dal gruppo. Il giovane naturalmente,
terrorizzato dalla paura scappò nel buio tra il dedalo delle
baracche. Gli altri purtroppo ebbero poco tempo per riflettere che già
erano sui camion sigillati, per fare il loro ultimo viaggio.
Il polacco allontanato dal gruppo era un mio amico, veniva da Varsavia
dove abitava con i genitori ed una sorellina, dei quali non sapeva più
nulla. Era un bravo ragazzo con tutti e di conseguenza fu naturale organizzare
un piano per tenerlo nascosto. Lo rintracciammo semiassiderato vicino
ai reticolati dell’alta tensione: lo trasportammo nella nostra
baracca e riuscimmo a farlo riavere. Lo nascondemmo tra i pagliericci
e lì trascorse la notte.
La mattina per una fatalità che spesso si verificava nel campo
a causa di qualche individuo privo di carattere e di fede che vendeva
ai carcerieri i propri compagni, il sottufficiale seppe che il polacco
era nella mia baracca e non appena la vita mattutina ebbe inizio apparve
alla porta. Noi volevamo tenere ancora nascosto l’amico polacco,
ma egli non volle rischiare a vita dei suoi salvatori e si presentò
a testa bassa davanti alla SS pronto alla sua sorte.
A questo punto nel silenzio più assoluto, sotto gli sguardi attoniti
di alcuni di noi che si trovavano nella baracca, il tedesco tirò
fuori dal taschino un cartoncino e consegnandolo all’amico polacco
gli disse:"In gioventù anch’io ho fatto parte dell’associazione
tedesca, poi le cose sono cambiate e così molti dei giovani di
allora se ne sono dimenticati. Buona fortuna!”.
Il deportato guardò il cartoncino e lentamente le lacrime scesero
dai suoi occhi: era la tessera degli scouts polacchi che il tedesco
aveva tolto dal suo portafoglio mentre lo perquisiva.
Nel momento in cui tutto il mondo era proteso alla più crudele
lotta per la sopravvivenza, quando la vita dipendeva quasi sempre dal
numero di pallottole che uno aveva a disposizione, il nobile spirito
scout aveva fatto un miracolo.