E' noto che i fascisti
bastonarono a morte Don Giovanni Minzoni dopo che, tra le altre cose,
egli li ebbe apertamente sfidati con l’apertura ad Argenta di
un reparto di Esploratori cattolici.
Sul piano storico, non è forse irrilevante chiedersi: fu l’apertura
del riparto un episodio marginale e occasionale, la goccia che fece
traboccare il vaso? Come s’inquadrava tale iniziativa nella personalità
e nell’operata ecclesiale e sociale del sacerdote romagnolo? In
che modo egli guardava alla scautismo? E quale risonanza ebbe il suo
assassinio nell’ambito del movimento scout in Italia?
La lettura del Diario di Don Minzoni, opportunamente pubblicata vari
anni fa dal Bedeschi, ci rivela una personalità di sacerdote
abbastanza complessa, dalla personalità, profondamente democratica,
socialmente molto aperta ed attenta, in cui le ardenti convinzioni patriottiche
nun formavano un ostacolo impermeabile nei confronti delle idee sociali
di un Toniolo e persino delle suggestioni socialistiche di un Murri.
Giovane cappellano militare (del 225° fanteria), si era guadagnata
nel 1918 una medaglia d’argento al valor militare per avere, in
un momento critico della battaglia del Piave, attaccato il nemico alla
testa dei suoi soldati.
In questo episodio c’è un altro lato della sua personalità:
c’è, anzitutto, l’uomo che dal pensiero, dal magistero,
passa all’azione; e poi, colui che balza dalla trincea per difendere
il Regno d’Italia è un uomo per il quale le tradizionali
pregiudiziali clericali antiunitarie, proprie del movimento cattolico
dell’Ottocento, non significavano ormai più nulla.
Per Don Minzoni, i problemi erano ben altri: la corruzione della gioventù,
la mancanza di vera educazione, la crisi degli ideali e dei valori tradizionali,
il decadimento della famiglia patriarcale, il disamore per il lavoro.
Dan Minzoni coglie e vive in prima persona lo sbandamento morale dei
giovani al ritorno dal fronte.
E d’altra parte la sua personalità lo rendeva per niente
ricettivo alla retorica vuota dei fascisti, che egli metteva facilmente
a nudo riscoprendone tutta l’inconsistenza e, peggio, la diseducatività.
Donde l’incontro con Io scautismo, che a lui — come ad altri
— appariva nella sostanza come il perfetto contraltare del fascismo.
Mentre il fascismo si riempiva la bocca della parola a Patria (ma se
ne serviva come si serviva del manganello, per picchiarlo in testa agli
altri), Io scautismo era per un amor di patria sano, tradizionale, quasi
risorgimentale, basato sulle comunità piccole via via allargatisi,
comprensivo dei sentimenti delle altre nazioni, anzi aperto alla fraternità
verso di esse.
Mentre il fascismo accoppiava al vuoto omaggio formale alla religione
(da utilizzare come instrumentum regni), un sostanziale agnosticismo,
lo scautismo possedeva una religiosità immanente, tale da pervadere
le singole attività "
laiche" (uscite, campi) al di là delle pratiche religiose
vere e proprie.
Mentre il fascismo era accigliata ed insofferente smania di potere,
lo scautismo era serena e sorridente disponibilità al servizio.
Da una sua meditazione agli scouts, datata 12 giugno 1923, sappiamo
che Don Minzoni considerava il movimento, non come una semplice e sia
pur simpatica iniziativa di tempo libero o di seria ricreazione, ma
come la pietra angolare del programma di ricostruzione morale che egli
vuol realizzare nella sua parrocchia: "casa-scuola-governo sono
senza autorità e senza spirito di riflessione e di responsabilità.
Il materialismo ha soppresso lo spirito, quindi la coscienza, quindi
l’osservazione. Si va pazzamente, il creato è muto, la
giovinezza passa con un’incoscienza spaventosa. Ecco un nuova
ordine direi religioso: lo scautismo. Risale alle fonti della vita.
Mens sana in corpore sano: cura lo spirito, poi il fisico. Disciplina
in moda sorprendente le giovani coscienze... ".
Dan Minzoni ha capito che lo scautismo non è solo una via a Dio,
ma una scuola di carattere: "Senza Dio non si sostiene né
famiglia né società. Lo scautismo vuole che il giovane
venga a questa grande realtà: sentire Iddio, conoscerlo, comprenderlo,
studiarlo, amarlo, servirlo.
Il mezzo: l’osservazione, lo studio... Abituarsi a cercare il
linguaggio delle cose... Vedrete che soddisfazioni di spirito avrete:
non sarete gli incoscienti della vita.., in tutte le cose troverete
la soluzione, quindi la direttiva delle azioni, il carattere: sarete
uomini".
Lo scautismo, quindi, era qualcosa di più che una delle tante
idee del fervido sacerdote romagnolo: era la sua personale scoperta
di quel periodo; era il mezzo che aveva trovato per sottrarre la gioventù
alla manomissione fascista: era l’incarnazione forse prevalente
della sua battaglia contro il fascismo.
Né lo scontro scautismo-fascismo era accidentale. Se in tutta
Italia esso si generalizzò solo nei 1926, con gli incidenti e
le aggressioni (oltre 50, dai documenti dell’Archivio Centrale
dello Stato) che si produssero un pò ovunque, bisogna ricordare
che proprio nel clima arroventato dell’Emilia-Romagna si erano
avuti, già nel 1922-23, dei segni avanforieri; scontri tra giovani
fascisti e scouts nel corteo di festeggiamenti per il 50° della
Gioventù Cattolica a Bologna (marzo 1921); aggressione a un reparto
di Finale Emilia, i cui Esploratori vennero malmenati e spogliati delle
insegne (luglio 1923), e analoghi incidenti a Faenza (estate 1923).
Soprattutto insopportabile per i fascisti era la vista delle uniformi
scout, simbolo estremo e visivo di una disciplina e di una allégiance
diverse da quelle loro, e da essi inafferrabili e irriducibili.
L’Associazione scout cattolica, fondata nel 1916, aveva mosso
con difficoltà i primi passi. Un’accanita polemica condotta
dalla stampa cattolica intransigente (con in testa l’Unità
Cattolica di Firenze) e appoggiata dalla Civiltà Cattolica aveva
tacciato lo scautismo di materialismo e di indifferentismo religioso:
e queste accuse, unite alle angustie del periodo bellico, avevano ritardata
in italia lo sviluppo del movimento (nato in Inghilterra nel 1907) e
prodotto una scissione tra cattolici e laici. Solo nel dopoguerra, sopite
le polemiche, l’Associazione dei cattolici prende piede nei piccoli
centri. Verso il 1923 essa riuniva circa 20.000 ragazzi.
L’attenzione di Dan Minzoni fu attirata sui movimento scout quando
egli conobbe il dinamico Don Emilio Faggioli, allora Assistente Regionale
dell’Emilia, che l’8 luglio venne appositamente a parlare
sullo scautismo nel teatrino parrocchiale di Argenta. "Attraverso
questo tirocinio e disciplina della volontà e del corpo - disse
fra l’altro l’oratore - noi intendiamo formare degli uomini
di carattere ". Dalla galleria lo interruppe la voce del segretario
del fascio di Argenta, Ladislao Rocca: " C’è già
Mussolini! ".
Don Faggioli precisò che Io scautismo agiva al di sopra e al
di fuori di ogni fazione politica e concluse invitando a guardare "con
simpatia questi ragazzi col cappeilone in testa e col giglio sul cuore,
che percorreranno. cantando la larga piazza di Argenta... ".
Di nuovo interruppe la voce del Rocca: " Come fascista e come cattolico
non permetterò mai che gli esploratori vengano in piazza "
Allora scattò Don Minzoni: " Ci verranno, invece, e alla
loro testa ci sarà Don Giovanni " L’applauso immenso,
scrosciante dei suoi giovani troncò il dialogo.
Le intimidazioni
di ogni genere alle famiglie e ai ragazzi non bastarono ad impedire
la nascita del riparto che il 24 luglio venne immatricolato (ossia ufficialmente
registrato) dal Commissariato Centrale dell’Asci. " Ho vinto
la battaglia ", scrisse l’Arciprete di Argenta ad un amico
il 9 agosto, un mese dopo l’episodio del teatrino, " abbiamo
già gli espioratori in montura ". In montura, cioè
in uniforme scout, chiaramente individuabili come tali.
Due settimane dopo, nella notte, l’agguato mortale.
La reazione dell’Azione Cattolica e della gerarchia è nota.
lI delitto è condannato nei termini più vibrati ("atroce"
," sacrilego", "orrendo", "barbaro", "
esecrando", sono gli aggettivi che ritornano di continuo nei messaggi
e nelle dichiarazioni), ma senza che nessuno si interroghi sui mandanti,
sul movente, sull’appartenenza politica degli assassini, sull’atmosfera
da cui il delitto era nato. Cosicché chi legge tali documenti
si rende bensì conto della personalità di Don Minzoni
e della sua eccezionale levatura morale, capisce che è morto,
ma non sa perché è morto né chi l’ha ucciso.
L’Arciprete di Argenta diviene quasi una vittima mistica immolata
alla pacificazione nazionale.
Certo più coraggiosa fu la prima reazione dell’Asci. Era,
come abbiamo detto, una piccola associazione, coordinata all’Azione
Cattolica (ma da essa considerata con una certa gelosia), rigorosamente
apolitica, guidata da uomini strettamente d’ordine. Eppure il
bollettino dei Capi (L’Esploratore, anno VI, n. 17, 7 settembre
1923) non esitò a indicare abbastanza chiaramente l’appartenenza
politica degli uccisori: " Insistiamo nel dichiarare nemici, nonché
di Dio, della Patria, gli assassini del nobilissimo Sacerdote, tali
riconoscendoli anche il Governo ed il partito al quale valevano appartenere".
E l’atmosfera in cui si era prodotto il delitto era ricostruita
con pochi, ma sicuri tratti di penna: "Perché è bene
ricordare che Dan Giovanni Minzoni non fu la vittima inconscia della
furia improvvisa, ma del calcolato odio che, sin dal primo giorno di
vita dei nostri reparti di Argenta, gli aveva dichiarato guerra e fatto
intorno tempesta incessante".
La "tempesta incessante", ossia le mille angherie e provocazioni
dei fascisti locali nei confronti degli esploratori locali, era minutamente
narrata dai rapporto, straordinariamente interessante, che il coraggioso
Commissario Provinciale dell’Asci, il reduce di guerra rag. Arrigo
Gardini, stese pochi giorni dopo l’accaduta (28 agosto). Vi si
leggeva tra l’altro che nei giorni precedenti il delitto, i caporioni
fascisti "andarono dicendo che quel prete doveva essere bastonato,
e che i preti erano vigliacchi. Di questa ingiuria il rev. Don Minzoni
ne era addoloratissimo e non ne faceva mistero. In questi ultimi giorni
avrebbe detto: a Sento che sarò martire". In questi ultimi
giorni, e precisamente da domenica 19 corr. si era mostrata preoccupato
e triste, cosa insolita in lui, che era sempre allegro e gioviale. Si
ritiene egli abbia avuto confidenza che qualche cosa di serio si tramava
contro di lui "
Lo stesso rapporto Gardini raccontava che " gli Esploratori argentani
sono rimasti oltremodo scossi per l’immensa perdita, ma non uno
defezionerà per timore di rappresaglia, poiché persino
alcune le cui famiglie erano un po’ titubanti si prodigarono e
si vestirono in divisa e prestarono servizio mostrandosi i più
zelanti ".
Più cauta e diplomatico fu il rapporto del Commissario Regionale,
il Conte Marco Acquaderni di Bologna, incentrato soprattutto sulla figura
morale della vittima: "Da quanti si senta parlare dell’Arciprete
Dan Minzoni, da tanti si sente esaltare la sua rettitudine, la sua bontà,
il suo valore. È quindi giusto che la Asci ponga in sommo onore
la figura dello scomparso, protandolo come esempio di apostolo e di
martire di tutti i giovani ".
La nota agiografica sarà poi accentuata nei brevi articoli apparsi
sulla stampa associativa nel primo e nel secondo anniversario. Dopo,
non troviamo più niente, e si capisce perché. Il 1926,
abbiamo detto, è l’anno dello scontro generalizzato tra
scautismo e fascismo. Il 1927 è l’anno dell’amputazione
(l’Asci viene vietata nei centri inferiori a 20.000 abitanti non
capoluoghi di provincia, mentre le altre associazioni scout erano sciolte):
e l’associazione dovette modificare le sue bandiere, e perfino
la terminologia (non si doveva più dire a scout , ma " scolta").
Il 1928 vede la sopressione definitiva dell’Asci, e l’inizia
di quella straordinaria vicenda che fu lo scautismo clandestino.
Altri quindici
anni dovevano passare prima che le bandiere dell’asci uscissero
nuovamente alla luce del sole, e iniziasse a realizzarsi la profezia
— ingenua e commossa — dell’ultima frase di una specie
di epigrafe dedicata a Dan Minzoni e figurante nel numero del bollettino
L’Esploratore sopra citato:"il
giglio, bagnato col sangue dei martiri, simbolo di forza, di guerra,
di fede, germoglierà per tutte le terre d’Italia..."